Conflenti - 10 febbraio 2023 -
vite rubate
L’orfananza - Nel dare alla luce un bambino, mia mamma morì.
L’orfananza
Nel dare alla luce un bambino, mia mamma morì. Io avevo quattro anni. Quell’età tenerissima non mi risparmiò dalle usanze locali, e mi vestirono a lutto. Ho ancora davanti agli occhi il vestituccio nero che mi misero addosso. Il colore luttuoso accompagnando la mia prima infanzia tinse di scuro anche il mio animo, e spegneva sul nascere ogni impulso alla gioia. In casa si creò un’atmosfera di sofferenza che m’impediva di vivere nella normalità dell’infanzia, anche se ppe’ ‘nna criatura (per una bambina piccola) non è mai normale vivere senza la mamma. Quando giocando mi capitava di ridere, mia nonna me guardava stùartu cumu si ‘u luttu ppe’ ra morte d’‘a figlia nun ne l’avìamu de scurdare mancu ‘nu minutu (mi guardava con occhi torvi come se il lutto per la morte della figlia non dovessimo scordarcelo nemmeno per un minuto).
Oltre all’immagine cupa del nero e all’espressione dolorosa dei volti dei miei familiari, altri due fatti mi sono rimasti impressi: l’instabilità che prese la mia vita, perché venivo collocata di volta in volta presso una o un’altra famiglia di parenti, a seconda della disponibilità; e l’affannosa ricerca di latte materno per alimentare il neonato, che rischiava di morire. Finalmente, piuttosto lontano da casa, fu trovata un’asina che aveva partorito e fa il latte più simile a quello delle donne. Io, priva ancora della possibilità razionale di discernere, sentivo istintivamente un sentimento misto di amore e di rancore per quel fratello, perché avevo intuito il legame tra la sua nascita e la morte di mamma.
Il periodo della mia fanciullezza, trascorsa durante la seconda guerra mondiale e nella povertà della famiglia, non mi aiutò a superare quell’ombra luttuosa dell’infanzia, finché a diciotto anni m’innamorai di un giovane, anche lui orfano. In quegli anni c’erano molti orfani in questi paesi, perché tanti padri erano morti in guerra, e altri continuavano a morire sotto i crolli delle miniere nelle nazioni straniere, mentre estraevano carbone o per le malattie che prendevano in quelle gallerie senza aria.
Ci sposammo nel giro di pochi mesi, il tempo di preparare il necessario per avviare alla buona la nostra vita matrimoniale. Insieme riuscimmo a superare il sentimento delle sciagure familiari e a rinforzare la fiducia nella vita. Allora il nero che mi aveva accompagnato da bambina incominciò a scomparire dalla mia visione, e mi circondai di verde perché è il colore dei prati e della speranza.
Vittoria Butera
Eugenio Giudice
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