C'è stato un tempo in cui il paese pullulava di gente. Eravamo in tanti. In ogni famiglia c'erano tre - quattro figli con picchi di otto -dieci. Le case erano piccole ( da una a tre stanze nella maggior parte) e noi bambini/e ragazzi/e ci riversavamo nelle vie. Si viveva sempre lì, dal mattino alla sera, tranne quando si andava a scuola (se ci si andava!). Si formavano piccoli gruppi di maschi e di femmine, rigorosamente divisi. Ognuno con i propri giochi e ognuno con i propri capi. Sì, perché c'era sempre qualcuno che con maggiore personalità s'imponeva agli altri e dirigeva la vita del gruppo. Eravamo organizzati un po' come i ragazzi della via Pal. I maschi difendevamo il nostro territorio e organizzavamo spedizioni punitive verso altre vie. Le femmine vivevano più isolate e più tranquille.Naturalmente anche nell'interno del gruppo c'erano lotte, nate per mantenersi in esercizio o per rompere la monotonia della giornata.
Nella zona Chianietto il capo indiscusso era Micu. Esercitava un certo fascino e intorno a lui s'era creato un gruppo abbastanza numeroso di ragazzi che ubbidiva ciecamente alle sue decisioni. Era un ragazzo che dimostrava coraggio e abilità nel fare le cose. Forte fisicamente, rapido nelle decisioni. Non temeva nessuno (tranne sua madre) e durante la giornata il suo pensiero era sempre in attività per organizzare qualcosa di nuovo e di movimentato. Scorrazzava per vie e campagne incurante del pericolo e godeva ogni qualvolta poteva fare a botte. Cercava lo scontro e qualsiasi pretesto era buono per metterlo in atto. Giocava tiri mancini a giovani e anziani. Si divertiva con la fionda con cui difficilmente sbagliava bersaglio. Amava raccogliere residui bellici e riciclava la polvere per farla poi scoppiare. Una volta indugiò troppo nei preparativi e gli andò male. Gli saltò una mano e restò invalido per tutta la vita. Nella sfortuna fu fortunato perché ottenne un lavoro nella prefettura di Roma, dove lavorò sino all'andata in pensione.
Micu per chiamare a raccolta i “ suoi “ ragazzi usava un metodo particolare: lanciava un fischio inimitabile che riproduceva in parte quello del merlo. E come un'eco il fischio, facilmente riconoscibile, si riproduceva, in altri modi, negli angoli della via riunendo, intorno a lui, in pochi minuti, tutti i ragazzi della zona. Del gruppo faceva parte Vincenzo che al suo richiamo, come tutti gli altri, accorreva velocemente. Era il suo idolo ed era felice quando poteva seguirlo nelle sue scorribande e nelle sue nuove avventure. Gli piaceva anche sentirlo cantare perché Micu aveva una bella voce ed era maestro nelle serenate. Dopo l'incidente le loro strade si divisero e per molto tempo non si videro più. Già grande, Vincenzo capitò a Roma e sentì il desiderio di rivederlo. Non sapeva dove abitasse, ma ricordava che lavorava alla Prefettura. E fu lì che si recò. Trovarlo era come cercare un ago nel pagliaio e più che chiedere all'uno o all'altro pensò di ricorrere al fischio caratteristico della loro infanzia. Lo fece. Una, due, tre volte. Al terzo tentativo ci fu la risposta. Un fischio prolungato attraversò le stanze della prefettura, suscitando anche lo stupore e la curiosità della gente. Il richiamo continuò dall'una e dall'altra parte sino a quando i due vecchi amici si avvicinarono sempre più e quando furono l'uno davanti all'altro s'abbracciarono a lungo, felici di essersi ritrovati.
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