martedì 22 dicembre 2015

giochi di ragazzi

I giochi erano semplici e sempre collettivi, non si poteva giocare individualmente come avviene oggi con i computer o le playstation, solo qualche anziano seduto sui gradini davanti casa faceva il solitario con le carte. L’agonismo, sì, quello esisteva: non c’è gioco che non contempli sconfitta o vittoria, ma non c’era un premio finale, se non quello rappresentato dalla soddisfazione di poter dire allo sconfitto “io sono meglio di te”, e magari a distanza di qualche ora o di qualche giorno le parti si ribaltavano, e così tutti potevano assaporare sia la gioia della vittoria che l’amarezza della sconfitta. Grande metafora della vita, forgiatura verso l’età adulta. 
 

Bastava un bastone e costruivamo una mazza, degli stracci e dello spago per fare una palla, che ci costringeva a giocare palla a terra, il gioco preferito dai grandi allenatori del calcio moderno. C’era il gioco dei bottoni: qualcuno rimaneva senza chiusure ai pantaloni o senza bottoni alla giacca o alla camicia, era inevitabile che tornato a casa il perdente dovesse sorbirsi una severa ramanzina oltre la rituale sonora sculacciata, che finiva con l’inevitabile promessa che non lo avremmo più fatto... naturalmente fino alla prossima volta, cioè dopo qualche giorno. 

dal libro di E. Butera: a domani 

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