Restiamo tutti legati al
paese natio, ma spesso i ricordi che lo riguardano sono diversi. Ciò
perché anche i paesi cambiano e le situazioni sono sempre
differenti. Per me Conflenti, tra le tante cose, è stato il paese
delle partenze. Subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, periodo in
cui ero ragazzino, riprese l'esodo cominciato all'inizio del Novecento e interrotto con la Grande Guerra e durante il regime fascista.
Partivano in tanti. Con un flusso continuo. Gente di ogni età: giovani, anziani,
uomini, donne, bambini; intere famiglie. Quasi tutti delle condizioni sociali più umili. All'epoca, i rappresentanti delle
compagnie di navigazione ( ce n'erano ben quattro) lavoravano a pieno
ritmo. Il paese lentamente si spopolava e le case e le vie si
svuotavano. Tutto diventava diverso. La realtà cambiava aspetto. Con
quelli che partivano se ne andava un pezzo della nostra storia; per
quelli che restavano la vita risultava sconvolta perché,
dall'oggi al domani, finivano amori, amicizie, relazioni sociali.
Ferite più o meno profonde nell'animo di tutti, per chi partiva e
per chi restava, che hanno lasciato il loro segno.
In una decina d'anni, tra
il cinquanta e il sessanta del secolo scorso, gli abitanti del paese si dimezzarono. Quasi tutti partivano per le due Americhe: Stati Uniti, Argentina, Brasile,
Canada e per l' Australia. In nave e dai porti di Genova, Napoli e
Messina. La scelta del luogo era determinata dalla difficoltà o facilità di ottenere il visto d'entrata o dal fatto che qualche amico o parente
fosse già sul posto. Partivano senza avere neanche un'idea di dove
andassero. Verso l'ignoto. Sapevano che dovevano attraversare il
mare, ma nessuno di essi l'aveva mai visto. Sapevano che dovevano
viaggiare in treno, ma nessuno di essi sapeva come fosse fatto. Buio
totale. Allora notizie e immagini circolavano poco. Se ne
andavano in terre sconosciute per sfuggire alla miseria. Stanchi di
una vita grama e dei soprusi dei padroni. Quel viaggio per loro era
l'ultima spiaggia. Lasciavano casa, parenti, amici ed un mondo dove
si muovevano ad occhi chiusi; dove bastava guardare l'ombra delle
cose per sapere che ora fosse e dove mille segnali avvertivano il
variare delle stagioni. Un mondo dove tutti sapevano tutto di tutti,
ogni rumore era conosciuto e a ogni voce si collegava un nome. Nel
nuovo paese, a parte qualche parente e amico, non conoscevano
nessuno. Per molto tempo anch'essi non sarebbero stati nessuno. Corpi
estranei in una comunità che si era sviluppata senza di loro. La
storia di famiglia e il loro passato svanivano nel nulla. Come
bambini avrebbero dovuto iniziare una nuova vita e farsi guidare
per conoscere e imparare. E anche per farsi conoscere e apprezzare.
Per conquistare rispetto ed eliminare la diffidenza. Avrebbero dovuto
cambiare le proprie abitudini: nel mangiare, nel vestirsi, nel
rapporto con gli altri. L'aver frequentato la scuola per anni, per
imparare a leggere e scrivere, si rivelava un sacrificio inutile.
Tempo perso. Nelle nuove nazioni sarebbero stati degli analfabeti. A
tanti avrebbero modificato anche il cognome, tagliando così l'ultimo
legame con il paese.
Il primo a partire era il
padre, poi lo raggiungevano gli altri familiari: il primogenito, la
moglie e i figli più piccoli. Generalmente si ricongiungevano in un
anno o due, ma per qualche famiglia i tempi erano più lunghi.
Partivano all'alba con il
postale che li portava sino a Nicastro, prima tappa del lungo
viaggio. La maggior parte dei partenti abitava nel paese, ma tanti
provenivano dalle contrade vicine: Serra d'Urso, Annetta, Serra
d'Acino etc. Partivano portando con sé pacchi di cartone e
spurtuni legati con corde e lacci di vari tipi. C'era chi
trasportava la sua roba in un vecchio lenzuolo annodato o in un
sacco strettamente legato. Solo qualcuno aveva la famosa valigia di
cartone, ma per la maggior parte non c'era neanche quella.
Nell'interno degli scatoloni c'era un po' di tutto: pane, salumi,
formaggi, castagne, noci, olio, acqua, vino. Tutto l'occorrente per
affrontare il lungo viaggio in mare. Di consumare pasti nel
bastimento non se ne parlava.
Forse neanche sapevano di questa possibilità. Di vestiti e
scarpe portavano solo quelli che avevano addosso; gli stessi che
avrebbero indossato per tutto il viaggio e certamente per un lungo
periodo nella nuova terra. Un altro elemento, l'abbigliamento
italian style, che li avrebbe caratterizzati come stranieri.
Qualcuno, in particolare le donne, aveva un ricambio di biancheria
intima, ma poca cosa. Molti uomini, prima di partire, avevano
fatto una rasatura radicale dei capelli (s'erano carusati)
perché avevano saputo che allo sbarco, se ti trovavano i pidocchi,
potevano rimandarti indietro. E, all'epoca, da noi questi animaletti,
abbondavano. Diversi, per nascondere il loro cranio pelato, preferivano coprirsi con una
berretta. Le donne avvolgevano
le loro pettinature nel classico maccaturu.
Le più anziane indossavano il
costume con la gonna lunga e larga (a fadiglia)
sciolta. I soldi, pochi in verità, ciascuno li portava in un suo
nascondiglio segreto: nelle scarpe, nelle calze o in una tasca della
giacca ben cucita. Quelli occorrenti per pagare il viaggio quasi
tutti se l'erano prestati. Da restituire a poco a poco con i primi
lavori.
Abitavo al capolinea
del postale e ogni mattina assistevo a scene di grande
disperazione. Non diversamente di come avveniva nei funerali dalle
nostre parti. Parenti, amici e conoscenti accompagnavano i partenti
per l'ultimo addio; era presente una grande fetta di paese; perché
da noi, in occasioni come questa, si dimenticavano odi e rancori e si
ritornava ad essere uniti. Tanti piangevano e la tristezza era
chiaramente visibile nel volto di tutti. Qualche volta il dolore
esplodeva in urli laceranti. Vedevo madri strettamente avvinghiate
ai loro figli, quasi come se volessero impedirgli di partire.
Temevano, come in effetti poi per tanti avvenne, di non rivederli
più. Lo scambio di baci ed abbracci era continuo e intenso.
L'autista del postale, molto paziente, s'immedesimava nella
situazione e ritardava il più possibile la partenza. Ma infine
bisognava pur partire ed era necessario farsi forza per staccarsi e
andare. C'era chi volutamente evitava di girarsi indietro mentre
qualcuno si affacciava ancora dal finestrino per l'ultimo saluto. I
parenti, continuando a singhiozzare, ritornavano con grande
tristezza nelle loro case. E cominciava l'attesa per la prima
lettera, che spesso tardava ad arrivare perché tanti di coloro che
erano partiti non sapevano scrivere.
Antonio Coltellaro
1 commento:
Caro Lissandru,
sono contento che apprezzi i miei scritti.
Mi farebbe piacere se tu mi raccontassi, anche in dialetto,la tua partenza, il tuo viaggio e i primi tempi in Canada. Se hai qualche foto meglio.
Se non vuoi pubblicarli,puoi inviarli direttamente alla mia mail.
L'indirizzo è in questa pagina.
Ciao
Antonio
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