lunedì 23 marzo 2020

La quarantena di un conflentese di Alessio Bressi.

Sono trascorsi ventinove giorni dal mio rientro dalla Lombardia a Conflenti. Sono chiuso in casa da seicento novantasei ore e tutto improvvisamente è cambiato. In quest’epoca di ritmi frenetici, quelle mie giornate inquiete d’un tratto sono diventate lente, pazienti, ricche di attese.
I primi giorni di quarantena sono stati duri, ho avuto il timore di rimanere solo, perché questa non era una solitudine voluta. Solo dopo qualche giorno ho compreso che, al contrario, la stavo cercando da tempo. Ho ritrovato quella serenità che solo il silenzio sa dare.
È anche vero però, che noi di vico XIII Garibaldi di Conflenti, al silenzio siamo abituati, come al mormorio del fiume Salso, che fanno parte della quotidianità dei pochissimi residenti che attendono il mese di Agosto per risentire il cigolio delle porte che forse anche quest’anno gli emigrati riapriranno. Con il passare dei giorni, la quarantena da volontaria è diventata obbligatoria.


Una quarantena obbligatoria

All’inizio pensai che per me non sarebbe cambiato nulla, invece sì: Antonella è tornata a casa. Con la sua presenza molto cose sono cambiate, ad esempio ora è quasi sempre lei a cucinare!
Stamattina mentre preparavo il caffè nella moka, (faccio sempre una croce con il cucchiaino prima di chiuderla, lo vidi fare da piccolo a mio zio Gigino) pensavo a questo periodo di “resistenza” a quanto siamo fragili difronte a un nemico invisibile che colpisce tutti, indifferentemente dal fatto che tu sia di Cosenza o di New York. Per questo dobbiamo rispettare i decreti restrittivi che lo Stato ci impone, ma senza pensare di essere degli eroi, stiamo solamente rispettando le regole. Gli eroi sono i medici, gli infermieri e tutte le persone che oggi, mentre noi guardiamo le serie tv sul divano di casa lavorano per curare e prevenire il virus.

Alba Sul Reventino
Questa quarantena, allora, non andrebbe vissuta come una prigione, ma è un invito a cambiare rotta. Questo è l’inizio di un tempo nuovo. Un tempo in cui stiamo rischiando di perdere ogni certezza, ma contemporaneamente ci sta insegnando a ridare valore a un semplice abbraccio. Tra fake news e allarmismi mediatici, alcune giornate in casa sembrano interminabili, ma tra una suonata e una lettura passo molto tempo a guardare fuori dalla finestra. Ieri, ad esempio ho contato le tegole della casa del vicino, sono duecentoquindici e otto sono rotte. Osservo gli alberi baciati con anticipo dalla primavera, ma l’emozione più grande rimane l’apparire dell’alba oltre il Reventino.
Nessuno di noi era preparato a quest’emergenza. Ci siamo ritrovarsi segregati in casa all’improvviso. Allora dobbiamo sfruttare al massimo questo tempo prezioso per pensare al dopo, a nuove ricerche, a nuovi progetti, a nuove comunità.

Restiamo a casa adesso

I nostri corpi restano a casa, ma le paure e le speranze raccontante con messaggi, videochiamate, canti intonati dai balconi, ci rendono ancora più uniti, come non lo siamo mai stati. Restiamo a casa adesso, perché la crisi prima o poi finirà, non sarà un percorso facile, forse non tutto tornerà come prima. Resteranno delle storie, personali e collettive, resteranno insegnamenti. Ma quando tutto finirà, perché finirà, ci ritroveremo al bar a parlare di questa corsa contro il tempo, con la promessa che Don Adamo continuerà a pagarmi il caffè, gli anziani riprenderanno a giocare a carte al bar centrale e le associazioni continueranno le loro attività.
Ieri sera, prima di addormentarmi ho pensato alla mia famiglia, agli amici, che nonostante le distanze sono sempre qui, nella casa “d’a mmaculata” che spero presto riaprirà la sua porta al mondo.
Andrà tutto bene.

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