Con
la polvere da sparo, mista a pezzi di tegole o mattoni finemente
macinati con un sasso, riempivamo i bossoli di ferro, residui
bellici, che poi facevamo esplodere. Così un nostro coetaneo,
Domenico Cuda, perse (fortunatamente) solo la mano sinistra, e finì
all'Istituto Don Gnocchi di Roma come invalido per residuati bellici.
Un
giorno giocavamo a stecca ed eravamo in tre a rincorrerci. Si faceva
la conta per scegliere chi per primo dovesse rincorrere e toccare uno
degli altri giocatori e il toccato sostituiva il precedente. Eravamo
io, Tonino Coltellaro e Franco Porchia. Stavamo giocando nel piazzale
davanti alla chiesa di San Nicola, in restauro. Il piazzale era
delimitato da una serie di colonne collegate tra loro da una
ringhiera di ferro. Ma a una colonna mancavano due ferri verticali,
momentaneamente coperti da una setacciera per la rena, che era stata
malamente appoggiata, e dai due lati si poteva entrare e uscire.
Mentre rincorrevo Tonino, lui si mise dietro la setacciera e io mi
parai davanti per toccarlo appena fosse uscito. Sembravamo due pugili
sul ring che si studiano. Tonino cercava il momento giusto per uscire
dall’involontaria trappola, ma a causa di un movimento maldestro
perse l’equilibrio, cadendo nel buco creato dai due ferri mancanti
e precipitò nel vuoto. Io e Franco, impietriti, corremmo giù per il
viottolo con il cuore in gola, ma dopo un salto di 6 o 7 metri Tonino
era miracolosamente in piedi, anche se acciaccato e indolenzito. A
fatica tornammo su, e in pochi minuti si sparse la voce di quanto era
accaduto. Le donne arrivarono davanti alla chiesa portando candele
votive per l’avvenuto miracolo. Dopo qualche settimana Tonino si
riprese.
Dal libro di Enzo Butera: a domani
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