Via del Campo di F. De Andrè
Via del Fiume
Tra le tante vie che
dal paese portano al fiume ce n’è una, chiamata in dialetto “’a via d’u Fiego”. All’inizio di essa c’era una fila ininterrotta di case a un piano e in una
di queste, tanto tempo fa, abitava una donna che, tra le altre cose, faceva anche la prostituta.
Era una cosa che
nel paese tutti sapevano e di cui
nessuno si scandalizzava. Accanto al barbiere, al sarto, al calzolaio, per un
certo tipo di necessità avevamo anche la
prostituta. Tra l’altro, la signora, era
una donna timorata di Dio; andava a messa tutte le domeniche e si faceva
il segno di croce ad ogni suono
di campana e quando passava davanti a
una chiesa o a una cappella. Nella sua casa, frequentata soprattutto di notte,
c’era un viavai di gente che entrava, sfogava le proprie voglie, pagava e se
ne andava. Una specie di self service dell’amore. Aperto a tutti: giovani e anziani. Particolarmente
utile ai giovani di allora per la loro iniziazione.
La porta della casa, secondo i momenti, restava aperta o
chiusa. Aperta quando nell’interno non c’erano clienti, chiusa nei periodi di
attività. Chi ci andava lo sapeva e quindi, secondo i casi, entrava o rimandava la visita a più tardi. Era
difficile che si verificassero ingorghi e incontri imbarazzanti tra parenti e
amici.
Una sera uno dei frequentatori abituali, forse per l’effetto del vino che
aveva bevuto o per distrazione, dimenticò la regola e trovando la porta chiusa,
credendo di aver sbagliato si avvicinò alla porta accanto che, per l’afa estiva, era rimasta
eccezionalmente aperta. Entrò, si
spogliò e si diresse verso il letto, chiaramente visibile perché allora tante
case avevano una sola stanza per tutti gli usi: cucina, camera da letto e bagno. S’infilò tra le lenzuola e si pose accanto
alla donna che gli girava le spalle e saporitamente dormiva. Cominciò a toccarla: prima alle braccia, poi
al seno poi ancora più giù, scoprendo e soffermandosi sulle dolci sinuosità del corpo di lei. La donna, in stato di
dormiveglia, scambiandolo per il marito, dimostrò di gradire le carezze. Forse sognando
e ricordando dolcezze di un tempo lontano, si girò e si lasciò andare allungando le gambe e, manifestando,
almeno apparentemente, di voler collaborare. L’uomo si avvicinò sempre di più, e, incoraggiato dall’atteggiamento di lei, ormai
eccitato accelerò gli avvenimenti ponendosi sul corpo della donna. E fu allora che si ruppe
l’incantesimo: quest’ultima, forse per il peso dell’uomo, di mole superiore a
quella del marito, forse per quel qualcosa che le era finito tra le mani e alle
cui dimensioni non era più abituata si
svegliò di colpo e accese la luce. Scoprì allora che un estraneo era entrato nel
suo letto. Lanciò un urlo e si alzò velocemente. Riempì d’insulti l’uomo che, dopo un attimo di stupore, capì l’errore e
completamente nudo, con … la coda
tra le gambe, fu costretto alla fuga.
Il giorno dopo la donna raccontò l’avvenimento, arrabbiata, così diceva, perché un uomo aveva osato
entrare nella propria casa, cercando di disonorarla. Le malelingue però sostenevano
che forse era ancor di più dispiaciuta per essersi lasciata sfuggire una buona
occasione per riscoprire le gioie dell’amore.
Antonio Coltellaro
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