Il nome di Visora tra magia e religione.
Alla ricerca di un significato.
La
vera definizione della Madonna di Conflenti, conosciuta e venerata in gran
parte dei paesi del Savuto e del Reventino, è: Maria SS. delle Grazie della
Quercia di Visora. La quercia è l’albero
nel quale sarebbero avvenute diverse apparizioni; Visora è il nome della
località dov’era situata la quercia e dove attualmente si trova il Santuario.
Il nome del luogo, come riporta C. Montoro,[1] risale a tempi antichissimi e prima che vi
sorgesse il Santuario designava “ un luogo oscuro … tristo e luttuoso”; un
luogo di orrore ricoperto da spessi alberi di castagne e di ghiande.
Una
descrizione che fa immediatamente pensare a un posto adatto al verificarsi di
fenomeni trascendenti. E, in effetti, pare
che il pianoro di Visora, prima ancora che si parlasse del manifestarsi della
Madonna, fosse stato il teatro di apparizioni di numerose figure femminili d’incerta
origine sovrannaturale. Tra esse prevaleva “una donna bellissima di forme e
statura leggiadre “. Difficile stabilire
se queste apparizioni fossero reali o immaginarie. Quando una credenza è
radicata nella cultura di un popolo, quella credenza diventa realtà. Fatto
religioso o fatto pagano? A Conflenti e
nei paesi vicini i confini tra religione e magia erano e sono rimasti sempre molto
labili e spesso si accostano, si intrecciano, si sovrappongono creando
confusione tra l’una e l’altra. Per
lungo tempo si è parlato di apparizioni di fate, fantastiche, magare, pupeddre[2] poi sempre più frequentemente di madonne. Non
è possibile documentare se si trattasse delle une o delle altre. Esistono solo
delle testimonianze, tramandate di
generazione in generazione e ognuno di noi può propendere, a seconda
delle proprie convinzioni, per la prima o la seconda versione. Comunque, vere o
presunte che fossero queste apparizioni, la loro fama si sparse nei dintorni richiamando
nel paese folle sempre più numerose. Sorse anche l’abitudine di svolgere particolari
riti magici nell’interno del bosco di Visora.
La Chiesa, naturalmente, vide con diffidenza questi avvenimenti e inizialmente
cercò di confutarli; pose vari divieti tra cui quello di utilizzare erbe, rami,
cortecce di alberi della zona; poi stabilì l’abbattimento degli stessi,
compresa la quercia dove erano avvenuti e continuavano ad avvenire, a detta
della gente, gli eventi sovrannaturali. Infine, preoccupata per i possibili
risvolti ereticali del fenomeno, arrivò al riconoscimento del carattere sacro
delle visioni, all’autorizzazione dei riti religiosi e alla concessione della
costruzione sul luogo di un tempio. Ciò avvenne nel 1579 e fu soprattutto opera
del vescovo Perbenedetti di Martirano, sotto la cui
giurisdizione si trovava Conflenti.
Per quanto riguarda il nome Visora, la sua
nascita potrebbe collegarsi alle apparizioni avvenute prima del sec. XVI cioè prima
ancora che si verificassero quelle riconosciute dalla Chiesa. Il termine di origine è il latino visus –us
(4^ declinazione) di genere maschile, che tra i suoi vari significati ha anche
quelli di visione e di apparizione. Ma perché
Visora nell’uso plurale? Per spiegare la sua trasformazione da visus a Visora bisogna
fare riferimento agli studi di alcuni linguisti (particolarmente il Rohlfs) che
analizzano la nascita di diversi termini in
- ora, -ura, -ara presenti all’epoca e in gran parte caduti in disuso in
tempi posteriori. Alcuni di essi si sono formati direttamente dal neutro
latino: corpora (i corpi) o tempora (tempi).
Anche pecora ad esempio non è altro che il plurale di pecus, ridiventato
poi singolare. In diverse regioni, compresa la Calabria, l’antica esistenza
della desinenza –ora è testimoniata dal
toponimo Càmpora. Altri termini invece hanno avuto questa trasformazione, pur
essendo maschili, per analogia al neutro latino durante il periodo del latino
volgare. Questa espansione analogica data dal IV- V secolo e si diffonde un po’
dappertutto in Italia. In quei tempi troviamo ad esempio, in Toscana: pratora,
logora, latora, boscora, nodora. In
Campania akora (aghi). In Calabria
compare soprattutto il plurale in – ura: ortura, nidura, nudura, crivura. Accanto ad essi potrebbe essersi generato il
termine Visora, come plurale di visus. Il termine, di uso poco comune, non
ha poi subito alcuna trasformazione. Da notare che tutti questi termini,
maschili al singolare, diventano femminili al plurale. In dialetto ad esempio
abbiamo: u nudu, ‘e nudura; l’acu, l’acura; u nidu, e nidura.
Antonio Coltellaro
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