giovedì 29 settembre 2011


Il nome di Visora tra magia e religione.

Alla ricerca di un significato.


La vera definizione della Madonna di Conflenti, conosciuta e venerata in gran parte dei paesi del Savuto e del Reventino, è: Maria SS. delle Grazie della Quercia di Visora.  La quercia è l’albero nel quale sarebbero avvenute diverse apparizioni; Visora è il nome della località dov’era situata la quercia e dove attualmente si trova il Santuario. Il nome del luogo, come riporta C. Montoro,[1]   risale a tempi antichissimi e prima che vi sorgesse il Santuario designava “ un luogo oscuro … tristo e luttuoso”; un luogo di orrore ricoperto da spessi alberi di castagne e di ghiande. 


Una descrizione che fa immediatamente pensare a un posto adatto al verificarsi di fenomeni trascendenti.  E, in effetti, pare che il pianoro di Visora, prima ancora che si parlasse del manifestarsi della Madonna, fosse stato il teatro di apparizioni di numerose figure femminili d’incerta origine sovrannaturale. Tra esse prevaleva “una donna bellissima di forme e statura leggiadre “.  Difficile stabilire se queste apparizioni fossero reali o immaginarie. Quando una credenza è radicata nella cultura di un popolo, quella credenza diventa realtà. Fatto religioso o fatto pagano?  A Conflenti e nei paesi vicini i confini tra religione e magia erano e sono rimasti sempre molto labili e spesso si accostano, si intrecciano, si sovrappongono creando confusione tra l’una e l’altra.  Per lungo tempo si è parlato di apparizioni di fate, fantastiche, magare, pupeddre[2]  poi sempre più frequentemente di madonne. Non è possibile documentare se si trattasse delle une o delle altre. Esistono solo delle testimonianze, tramandate di  generazione in generazione e ognuno di noi può propendere, a seconda delle proprie convinzioni, per la prima o la seconda versione. Comunque, vere o presunte che fossero queste apparizioni, la loro fama si sparse nei dintorni richiamando nel paese folle sempre più numerose. Sorse anche l’abitudine di svolgere particolari riti magici nell’interno del bosco di Visora.  La Chiesa, naturalmente, vide con diffidenza questi avvenimenti e inizialmente cercò di confutarli; pose vari divieti tra cui quello di utilizzare erbe, rami, cortecce di alberi della zona; poi stabilì l’abbattimento degli stessi, compresa la quercia dove erano avvenuti e continuavano ad avvenire, a detta della gente, gli eventi sovrannaturali. Infine, preoccupata per i possibili risvolti ereticali del fenomeno, arrivò al riconoscimento del carattere sacro delle visioni, all’autorizzazione dei riti religiosi e alla concessione della costruzione sul luogo di un tempio. Ciò avvenne nel 1579 e fu soprattutto opera del vescovo Perbenedetti di Martirano, sotto la cui giurisdizione si trovava Conflenti.
  Per quanto riguarda il nome Visora, la sua nascita potrebbe collegarsi alle apparizioni avvenute prima del sec. XVI cioè prima ancora che si verificassero quelle riconosciute dalla Chiesa.  Il termine di origine è il latino visus –us (4^ declinazione) di genere maschile, che tra i suoi vari significati ha anche quelli di visione e di apparizione.  Ma perché Visora nell’uso plurale? Per spiegare la sua trasformazione da visus a Visora bisogna fare riferimento agli studi di alcuni linguisti (particolarmente il Rohlfs) che analizzano la nascita di diversi termini in  - ora, -ura, -ara presenti all’epoca e in gran parte caduti in disuso in tempi posteriori. Alcuni di essi si sono formati direttamente dal neutro latino: corpora (i corpi) o tempora (tempi).  Anche pecora ad esempio non è altro che il plurale di pecus, ridiventato poi singolare. In diverse regioni, compresa la Calabria, l’antica esistenza della desinenza  –ora è testimoniata dal toponimo Càmpora. Altri termini invece hanno avuto questa trasformazione, pur essendo maschili, per analogia al neutro latino durante il periodo del latino volgare. Questa espansione analogica data dal IV- V secolo e si diffonde un po’ dappertutto in Italia.  In  quei tempi troviamo ad esempio, in Toscana: pratora, logora, latora, boscora, nodora.  In Campania akora (aghi).  In Calabria compare soprattutto il plurale in – ura: ortura, nidura, nudura, crivura.  Accanto ad essi potrebbe essersi generato il termine Visora, come plurale di visus. Il termine,  di uso poco comune, non ha poi subito alcuna trasformazione. Da notare che tutti questi termini, maschili al singolare, diventano femminili al plurale. In dialetto ad esempio abbiamo: u nudu, ‘e nudura; l’acu, l’acura; u nidu, e nidura.

                                                                                                                       Antonio Coltellaro


[1] C. Montoro- Sacre Memorie- la Modernissima 1981
[2] Tra le une e le altre esistono molte differenze sia per l’aspetto, sia per il luogo d’apparizione, sia per il comportamento.



 L'articolo è già stato pubblicato  nelle riviste : "Il Temesino" e "Calabria Letteraria".

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