domenica 6 ottobre 2013

partenze

  Il paese delle partenze




Restiamo tutti legati al paese natio, ma spesso i ricordi che lo riguardano sono diversi. Ciò perché anche i paesi cambiano e le situazioni sono sempre differenti. Per me Conflenti, tra le tante cose, è stato il paese delle partenze. Subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, periodo in cui ero ragazzino, riprese l'esodo cominciato all'inizio del Novecento e interrotto con la Grande Guerra e durante il regime fascista. Partivano in tanti. Con un flusso continuo. Gente di ogni età: giovani, anziani, uomini, donne, bambini; intere famiglie. Quasi tutti delle condizioni sociali più umili. All'epoca, i rappresentanti delle compagnie di navigazione ( ce n'erano ben quattro) lavoravano a pieno ritmo. Il paese lentamente si spopolava e le case e le vie si svuotavano. Tutto diventava diverso. La realtà cambiava aspetto. Con quelli che partivano se ne andava un pezzo della nostra storia; per quelli che restavano la vita risultava sconvolta perché, dall'oggi al domani, finivano amori, amicizie, relazioni sociali. Ferite più o meno profonde nell'animo di tutti, per chi partiva e per chi restava, che hanno lasciato il loro segno.


 
In una decina d'anni, tra il cinquanta e il sessanta del secolo scorso, gli abitanti del paese si dimezzarono. Quasi tutti partivano per le due Americhe: Stati Uniti, Argentina, Brasile, Canada e per l' Australia. In nave e dai porti di Genova, Napoli e Messina. La scelta del luogo era determinata dalla difficoltà o facilità di ottenere il visto d'entrata o dal fatto che qualche amico o parente fosse già sul posto. Partivano senza avere neanche un'idea di dove andassero. Verso l'ignoto. Sapevano che dovevano attraversare il mare, ma nessuno di essi l'aveva mai visto. Sapevano che dovevano viaggiare in treno, ma nessuno di essi sapeva come fosse fatto. Buio totale. Allora notizie e immagini circolavano poco. Se ne andavano in terre sconosciute per sfuggire alla miseria. Stanchi di una vita grama e dei soprusi dei padroni. Quel viaggio per loro era l'ultima spiaggia. Lasciavano casa, parenti, amici ed un mondo dove si muovevano ad occhi chiusi; dove bastava guardare l'ombra delle cose per sapere che ora fosse e dove mille segnali avvertivano il variare delle stagioni. Un mondo dove tutti sapevano tutto di tutti, ogni rumore era conosciuto e a ogni voce si collegava un nome. Nel nuovo paese, a parte qualche parente e amico, non conoscevano nessuno. Per molto tempo anch'essi non sarebbero stati nessuno. Corpi estranei in una comunità che si era sviluppata senza di loro. La storia di famiglia e il loro passato svanivano nel nulla. Come bambini avrebbero dovuto iniziare una nuova vita e farsi guidare per conoscere e imparare. E anche per farsi conoscere e apprezzare. Per conquistare rispetto ed eliminare la diffidenza. Avrebbero dovuto cambiare le proprie abitudini: nel mangiare, nel vestirsi, nel rapporto con gli altri. L'aver frequentato la scuola per anni, per imparare a leggere e scrivere, si rivelava un sacrificio inutile. Tempo perso. Nelle nuove nazioni sarebbero stati degli analfabeti. A tanti avrebbero modificato anche il cognome, tagliando così l'ultimo legame con il paese.
Il primo a partire era il padre, poi lo raggiungevano gli altri familiari: il primogenito, la moglie e i figli più piccoli. Generalmente si ricongiungevano in un anno o due, ma per qualche famiglia i tempi erano più lunghi.
Partivano all'alba con il postale che li portava sino a Nicastro, prima tappa del lungo viaggio. La maggior parte dei partenti abitava nel paese, ma tanti provenivano dalle contrade vicine: Serra d'Urso, Annetta, Serra d'Acino etc. Partivano portando con sé pacchi di cartone e spurtuni legati con corde e lacci di vari tipi. C'era chi trasportava la sua roba in un vecchio lenzuolo annodato o in un sacco strettamente legato. Solo qualcuno aveva la famosa valigia di cartone, ma per la maggior parte non c'era neanche quella. Nell'interno degli scatoloni c'era un po' di tutto: pane, salumi, formaggi, castagne, noci, olio, acqua, vino. Tutto l'occorrente per affrontare il lungo viaggio in mare. Di consumare pasti nel bastimento non se ne parlava. Forse neanche sapevano di questa possibilità. Di vestiti e scarpe portavano solo quelli che avevano addosso; gli stessi che avrebbero indossato per tutto il viaggio e certamente per un lungo periodo nella nuova terra. Un altro elemento, l'abbigliamento italian style, che li avrebbe caratterizzati come stranieri. Qualcuno, in particolare le donne, aveva un ricambio di biancheria intima, ma poca cosa. Molti  uomini, prima di partire, avevano fatto una rasatura radicale dei capelli (s'erano carusati) perché avevano saputo che allo sbarco, se ti trovavano i pidocchi, potevano rimandarti indietro. E, all'epoca, da noi questi animaletti, abbondavano. Diversi, per nascondere il loro cranio pelato, preferivano coprirsi con una berretta. Le donne avvolgevano le loro pettinature nel classico maccaturu. Le più anziane indossavano il costume con la gonna lunga e larga (a fadiglia) sciolta. I soldi, pochi in verità, ciascuno li portava in un suo nascondiglio segreto: nelle scarpe, nelle calze o in una tasca della giacca ben cucita. Quelli occorrenti per pagare il viaggio quasi tutti se l'erano prestati. Da restituire a poco a poco con i primi lavori.
Abitavo al capolinea del postale e ogni mattina assistevo a scene di grande disperazione. Non diversamente di come avveniva nei funerali dalle nostre parti. Parenti, amici e conoscenti accompagnavano i partenti per l'ultimo addio; era presente una grande fetta di paese; perché da noi, in occasioni come questa, si dimenticavano odi e rancori e si ritornava ad essere uniti. Tanti piangevano e la tristezza era chiaramente visibile nel volto di tutti. Qualche volta il dolore esplodeva in urli laceranti. Vedevo madri strettamente avvinghiate ai loro figli, quasi come se volessero impedirgli di partire. Temevano, come in effetti poi per tanti avvenne, di non rivederli più. Lo scambio di baci ed abbracci era continuo e intenso. L'autista del postale, molto paziente, s'immedesimava nella situazione e ritardava il più possibile la partenza. Ma infine bisognava pur partire ed era necessario farsi forza per staccarsi e andare. C'era chi volutamente evitava di girarsi indietro mentre qualcuno si affacciava ancora dal finestrino per l'ultimo saluto. I parenti, continuando a singhiozzare, ritornavano con grande tristezza nelle loro case. E cominciava l'attesa per la prima lettera, che spesso tardava ad arrivare perché tanti di coloro che erano partiti non sapevano scrivere.

                                                                                                Antonio Coltellaro






1 commento:

Tonio ha detto...

Caro Lissandru,
sono contento che apprezzi i miei scritti.
Mi farebbe piacere se tu mi raccontassi, anche in dialetto,la tua partenza, il tuo viaggio e i primi tempi in Canada. Se hai qualche foto meglio.
Se non vuoi pubblicarli,puoi inviarli direttamente alla mia mail.
L'indirizzo è in questa pagina.
Ciao
Antonio