Conflenti - 16 marzo 2023
vite rubate
Un dramma di famiglia
Mia mamma mantenne quel segreto che le macerava l’anima.
Tessere di storia del Novecento
Momenti di ricordi tra sogni, realtà e fantasia a Conflenti
Un dramma di famiglia
Il dolore, rinchiuso tra le pareti del petto, traspariva sul volto della mia nonna materna, nonna Maria. Avendola conosciuta con quell’espressione da sempre, la sua tristezza mi sembrava naturale, e non la ponevo a confronto con il volto sorridente della nonna paterna. Nonna Maria mi raccontava un’unica tristissima favola che narrava la storia di una povera vecchietta morta tra mille sofferenze; nonna Palma invece mi faceva ridere con storie ilari e sollecitava la mia fantasia illustrandomi fatti di altri tempi sempre all’impronta della serenità e dell’ottimismo.
Ero già laureata quando m’interrogai sulla vita di nonna Maria e ne parlai con mia mamma che, nonostante fosse nota per la dolcezza del suo sorriso, lasciava travedere anche lei una sofferenza interiore.
Incominciò a raccontare con la voce rotta dal pianto. Le due guerre mondiali avevano determinato il destino della sua famiglia. La prima aveva stroncato la giovane vita del padre, lasciando la madre vedova, lei bambina, il fratellino neonato. Allora mia nonna aveva assunto ogni responsabilità della famiglia, compresa la gestione economica dei terreni agricoli a cui già provvedeva sin dall’inizio della guerra. Da quel momento però bisognava organizzarsi in modo definitivo, svincolandosi dall’aiuto che, nel breve periodo, le aveva fornito un parente anziano in attesa che il conflitto finisse. Sebbene fosse un’occasione di emancipazione, la donna dell’epoca non era abituata alla conduzione autonoma dell’azienda familiare, perciò il lavoro gestionale fu vissuto come una dura necessità che in mia nonna aggravò il dolore della grave perdita affettiva.
Gradatamente la vita riprese i suoi ritmi finché esplose la seconda guerra che chiamò al fronte il giovane fratello di mia mamma, zio Giovanni. Ritornò vivo ma ferito nel profondo dell’animo.
La gioia del ritorno fu offuscata dal suo turbamento che non svaniva con il tempo, anzi contaminò le due donne, sua mamma specialmente. La causa di quella crisi proveniva dal normale comportamento di un soldato che, aggredito, si difende con l’unico modo possibile in una guerra: sparando. Uccidere però non entrava nella concezione di mio zio neppure nella difesa bellica. Aveva compiuto quell’azione automaticamente e non riuscì a superare il sentore della colpa. Come l’antica hybris, quell’azione contaminò la famiglia e passò a tormentare la madre che divenne epilettica.
Mia mamma mantenne quel segreto che le macerava l’anima. Parlandone finalmente con me, riuscì a convincersi dell’ineluttabilità del comportamento del fratello, e gradatamente, ma purtroppo troppo tardi, si liberò da quell’oppressione.
Vittoria Butera
Eugenio Giudice
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