sabato 6 luglio 2013

Ricordo di Conflenti




Fin da piccolissima, affidata alle cure della nonna e della zia, mentre papà e mamma lavoravano ancora a Torino, trascorrevo l'estate nel luogo dove loro erano nati, a Conflenti, nel cuore dell'Appennino silano.
Quel paese adagiato su un costone di roccia in mezzo alle montagne, si trovava, dal mio punto di vista, alla fine del mondo conosciuto.


La strada finiva lì e i pochi mezzi che ci arrivavano erano costretti ad invertire il senso di marcia. A questo scopo, essendo la strada di dimensioni ridotte, l'avevano allargata in un punto per dare alla corriera la possibilità di far manovre (“ a curva”).
Noi arrivavamo nel primo pomeriggio, dopo un lungo viaggio in treno. Per me, appollaiata sulle ginocchia di mamma o di zia, non doveva essere faticoso.
Il confine invisibile tra il Nord e il Sud dell'Italia era segnalato da un odore dolciastro che si diffondeva all'improvviso nello scompartimento: sapevo allora che stavamo arrivando al paese dei nonni.
Chiedevo di affacciarmi al finestrino nelle soste alla stazione per respirare quel profumo: le traversine dei binari, come nel paese di Alice, erano di liquirizia, il sole odorava di ginestra, il mare nascondeva nel fondo semi di finocchio e di anice selvatico, i boschi gongolavano di more succose. Il treno procedeva più lento ed il sussulto dei binari diventava ritmico.
Zio Mario ci aspettava alla stazione con la sua seicento.
Allora sotto un cielo d'indaco attraversavamo la montagna verso l'interno e dopo circa un'ora giungevamo al paese.
Coglievo ogni sfumatura di luce, con i sensi enfatizzati, ma soprattutto avvertivo il peso di un silenzio che fermava il tempo e paralizzava la natura in un'immagine mitologica e sacra.
Solo il verso strozzato di qualche gallina o il rantolo di un maiale rompevano quel silenzio, in modo
sinistro, svelando la presenza di esseri viventi.
A quel punto arrivava lei, la nonna. Risaliva le scale che portano alla strada, a braccia aperte, per venirci incontro.
Il suo abbraccio era forte e vigoroso, l'odore del suo corpo era di sole ed io sapevo di essere accolta con amore.



                                                                                            Maria Grazia Giudice

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