Di anno in anno cala la popolazione di Conflenti e il paese lentamente muore. Ma parallelamente scende anche la popolazione della grande Conflenti, della Conflenti della diaspora, sparsa in tutto il mondo. I figli della grande emigrazione degli anni Cinquanta - Sessanta a uno a uno se ne stanno andando. I pochi rimasti sono quasi tutti ottantenni o novantenni. Sono loro che mantengono ancora vivi i legami con la madre patria rispettando le tradizioni, parlando la nostra lingua. Organizzano feste che ricalcano quelle del paese; importano prodotti paesani e invitano i cantanti italiani per riascoltare le canzoni del loro passato. Tanti ritornano in paese per la festa del santo patrono, ma di anno in anno il numero diminuisce.
Qualche figlio ha mantenuto molte tradizioni, ma per la maggior parte, nata e vissuta nei paesi d'emigrazione, il paese è solo un nome che indica il luogo di nascita dei genitori. Immersi in un sistema di vita diversa si sentono e sono, giustamente, parte integrante del paese in cui vivono. Tanti non conoscono la nostra lingua e, se la conoscono, preferiscono parlare la lingua del posto che gli dà la possibilità di esprimersi più fluentemente e correttamente. Hanno abitudini diverse dei loro genitori e questa è una naturale evoluzione delle cose.
Ci avviamo verso un mondo in cui l'emigrazione dei genitori diventerà per i figli preistoria.
Sparita la generazione dei nativi di Conflenti spariranno anche i pochi legami che ci uniscono con i loro figli.
Cosa fare per mantenerli in vita? Il comune dovrebbe incrementare gli incontri con i figli degli emigranti; fargli conoscere la realtà del paese con la vita quotidiana e le tradizioni. I modi sono tanti, ma, se vogliamo salvare questi legami, bisogna cercarli e volerli. Un modo realizzabile sarebbe quello d'invitare dei ragazzi in età scolare (medie) presso una famiglia, possibilmente parenti, e fargli frequentare la scuola per un anno.
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