giovedì 20 febbraio 2020

Il paese di Gaetano Volpe.

Circa vent'anni fa, ho incontrato a Conflenti un emigrato che veniva dall'Argentina. Si chiamava Gaetano Volpe e all'epoca aveva una sessantina d'anni. Era partito dal paese quando aveva vent'anni e non era più ritornato. Grazie all'aiuto dell'associazione del Santuario era finalmente riuscito a tornare e a coronare il suo sogno. Era d'estate e il paese era pieno di gente. Dire che fosse felice è dire poco; era quasi impazzito dalla gioia. Correva di qua e di là per ritrovare i luoghi dell'infanzia e i compaesani se lo contendevano per averlo come ospite nelle loro case. Qualche volta l'ho visto anche ubriaco perché tutti facevano a gara per offrirgli da bere  e lui, per  non essere scortese, non rifiutava mai. Si dilettava a dipingere e certi suoi disegni  dimostravano capacità ed abilità. L'ho incontrato più volte ed ho parlato con lui. Il suo attaccamento al paese era viscerale. Per tutto il tempo che restò evitò  di visitare altri luoghi per godere intensamente e completamente del suo paese.


Un giorno mi disse che pur vivendo in Argentina il suo pensiero  era sempre al paese. Specialmente di notte, diceva, chiudeva gli occhi e ripercorreva i vicoli  del paese. Pur muovendosi sulle strade di un'altra nazione, le sue radici  erano  profondamente  immerse nel territorio di Conflenti.
Questa composizione è ispirata da lui e da tutti quegli emigranti che, pur vivendo lontani,  sentono così profondamente la nostalgia del paese.

Nostalgia


Di notte e di giorno
sono tanti i momenti
che torno a Conflenti.
Rivedo amici e parenti;
e vado alla ricerca delle mie sorgenti.
Ritrovo il passato,
 mai dimenticato.
Percorro i luoghi
che m'hanno visto crescere e gioire
e qualche volta anche soffrire.
Scendo al fiume, bevo alla fontana,
ritorno a casa al suon della campana.
Parlo con la ragazza del mio cuore,
vedo il tramonto quando il giorno muore.
Sento il canto della vicina.
e quello del cestaio nella via.
Respiro odor di vino e di castagna,
e della terra fresca di campagna.
 Mi diletto con me stesso 
a parlare in dialetto.
E sono contento,
 in ogni momento, 
di essere e restare conflentese. 

            A. Coltellaro


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