La lezione.
La lezione era uguale per tutti; fondamentale era saper leggere, scrivere le proprie generalità, conoscere la tavola pitagorica e le quattro operazioni. Era già tanto se si riusciva a tenerli in classe. Per suscitare il loro interesse bisognava farli parlare di sé, dei loro animali, dei loro lavori. Non conoscevano giochi. Era bravo chi correva di più o chi era più furbo. Qualche volta una nonna restava davanti la scuola ad aspettare la nipotina. Allora io l'invitavo a entrare e lei si sedeva accanto al braciere e continuava a filare.
Ai rintocchi della mezza che arrivavano dalla campana del paese i ragazzi sciamavano felici in diverse direzioni e io mi accingevo a preparare il pranzo per me e mia sorella. Spesso però mangiavamo coi contadini: " Maestra, vieni a mangiare con noi! Era Pasquale il vecchio che vigilava su di me. C'era anche Pasquale il nipote che spesso mi accompagnava quando andavo in giro per le campagne o scendevo al paese. Emigrato poi, lui come tanti altri, in Australia. Quei ragazzi oggi sono uomini e donne fatti, alcuni diplomati o laureati.Ne incontro talvolta qualcuno che si fa riconoscere. Uno (Ciconte) voleva picchiarmi per restituirmi le botte che aveva ricevuto. Naturalmente scherzava, ma metteva a nudo la crudele abitudine che avevano un tempo gli insegnanti; l'allievo sapeva che se non studiava, se non capiva non era il voto che doveva classificarlo, ma la punizione: in ginocchio sul mais, 20 bacchettate sulle mani, una tirata di orecchi che ti sembrava dovessero staccarsi. Eppure ancora dopo tanti anni, dopo una vita, tutti continuano a dire: il mio maestro, la mia maestra. Oggi la scuola ad Annetta non esiste più. I ragazzi vanno in paese, motorizzati. I vecchi si ricordano ancora e noi maestri
conserviamo ancora nella mente quella pagina meravigliosa e nel cuore i volti dei piccoli allievi.
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